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Un anonimo atto di accusa sui comportamenti sessuali dei preti all’inizio del secolo XX (parte II)

Parte II

Conversano e il modernismo

 

Un qualche alito di modernismo giunse anche a Conversano, agli inizi del Novecento, quando il vescovo Mons. Antonio Lamberti istituì la “Cassa Rurale San Flaviano” per la concessione di modesti finanziamenti a contadini ed artigiani e la «Società Anonima Cooperativa di consumo a responsabilità limitata “S. Flaviano” – Conversano»[1] . Tra l’altro istituì le congregazioni dei “Luigini” e degli “Antonini” per tenere i ragazzi lontani dalla strada. Da mons. Casimiro Génnari il seminario era stato trasferito al secondo piano del palazzo vescovile per una più stretta vigilanza onde evitare inquinamenti modernisti e intitolato a Leone XIII nel 1896, l’anno prima di assurgere alla porpora.

Riferisce Don Pasquale Cantalupo, già parroco della Cattedrale di Conversano, che il cardinale Casimiro Génnari, come egli stesso ebbe a ricordare, fu votato da Giuseppe Melchiorre Sarto dette a lui il voto nel Conclave del 1903 che portò quest’ultimo al soglio pontificio col nome di Pio X.

Il vescovo Lamberti nella pastorale del 1901 aveva trattato solo principi teologici, mentre in quella del 1902 affrontava gli aspetti sociali richiamandosi allo spirito innovatore leoniano, ribadendo la condanna del liberalismo e del socialismo. Ma è sotto il papato di Pio X, nella Lettera pastorale per la Quaresima del 1905[2] che riprende con toni vibranti i concetti sulla questione sociale contenuti nella Rerum novarum del 15 maggio 1891:

«La chiesa è quella che dal Vangelo a lei affidato trae le dottrine, per virtù delle quali la contesa tra ricchi e proletari può venire composta, o almeno raddolcita rimosse le scabrosità ed asprezze… La Chiesa cerca di migliorare lo stato dei proletari con utilissime istituzioni».  

Tenuto conto dei tempi si può senz’altro affermare che egli non è catalogabile tra gli intransigenti, come sicuramente non è stato un modernista.  

Conversano è una cittadina del sud-est barese (a trenta chilometri dal capoluogo), appollaiata su una dolce collina (219 m sul livello del mare), le cui origini si perdono nel buio di molti secoli prima della nascita di Cristo. Religiosissima, già il V secolo la vede sede vescovile con Simplicio. Alla cima del colle è issata la mole quadra del Castello prima dei conti Altavilla, poi Bassavilla e infine Acquaviva d’Aragona. Nel raggio di qualche centinaio di metri sono distribuiti ben 18 luoghi di culto tra monasteri, conventi e chiese. I rapporti tra il vescovado e la contea non sono sempre stati idilliaci (vescovo Brancaccio e conte Giulio). Ai motivi di attrito hanno aggiunto esca le badesse mitrate del monastero di S. Benedetto, abbazia nullius, a cominciare da Dameta Paleologo nel 1266, in aspro antagonismo con i vescovi ai quali contendevano potere e prestigio, giungendo a pretendere il baciamano dai sottoposti.

I comportamenti di preti e monache furono oggetto di critiche e pettegolezzi feroci fin da quando erano sorti ordini fondati sui voti di castità, povertà ed obbedienza. Negli scritti in Capitanata di Oronzo Marangelli si legge[3]:

«I preti, i monaci non offrivano un esempio edificante di vita religiosa: le chiese arricchivano e davano tutte le comodità terrene a chi si dedicava al ministero sacerdotale. Il concubinaggio era comunissimo. Due preti appaiono nei nostri documenti del 1141 con figli che sono riconosciuti nei diritti ereditari almeno per l’usufrutto loro vita natural durante…. Certo noi non vogliamo generalizzare e da due esempi concludere che la vita dei preti e dei monaci era riprovevole. Ma all’atto di riconoscimento dei diritti all’usufrutto, che il diacono pretende per i suoi piccoli figli, intervengono preti e monaci ai quali per simil vita non ripugnava un riconoscimento sì chiaro. E dire che vi era già stata la riforma di Gregorio VII, ma tutti sappiamo con quanto spirito di ribellione fu accolta da molti religiosi stessi, e che essa non ebbe una pratica attuazione subito. Ci vorrà il Concilio di Trento per impedire certi pubblici scandali, non con l’eliminarli, ma col non farli comparire alla luce del sole.»

Nel suo romanzo storico “Sogno di una società di eguali” emergono aspetti del modernismo e dell’anticlericalismo e sul comportamento poco ortodosso di preti configurati nel personaggio dello spretato don Flaviano[4].



[1] G. BOLOGNINI, Storia di Conversano, Bari 1935, p. 226.

[2] Diocesi di Conversano, La Chiesa e il popolo, G. Laterza & figli, Bari 1905.

[3] O. MARANGELLI, Scritti scelti, a cura di L.P. Marangelli. Terzo Millennio, Collana di studi della Provincia di Foggia, diretta da Franco Mercurio, p. 93, 94 e pergamena n. 6 del 7 giugno 1141, San Severo; n. 7 del 1 novembre 1141, San Severo; n 12 del 13 luglio 1175, San Severo.

[4] O. MARANGELLI, Sogno di una società di eguali, a cura di L. Marangelli, Foggia 2002, pp. 37-45.

© Riproduzione riservata 07 Ottobre 2012

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