Can. Giuseppe Bolognini
«Lancellotti: Un vescovo da dimenticare»
Ma le frasi dello storico cegliese non potevano essere ignorate da quanti non la pensavano come lui e il Vescovo. Il canonico Bolognini[1] intende scrollarsi di dosso una accusa tanto grave che trascina nella vicenda di Di Vagno tutto il clero della diocesi. Nel 1935, nella sua Storia di Conversano, a proposito dei vescovi di Conversano, liquida “Domenico Lancellotti”, in poche righe nei seguenti pesantissimi termini: «Morì senza lasciare di sé… alcuna eredità d’affetti!»
E prosegue (su 62 vescovi è l’unico di cui parla tanto poco quanto male):
Poiché le sue ceneri sono ancora calde (dopo 5 anni! N. d. A.) e le passioni di parte non sono del tutto svanite, così ci dispensiamo per ora dallo scrivere di lui, memori dell’antica massima (Catone 1927: l. l, d. 12): Nulli tacuisse nocet, nocet esse locutum! (Bolognini 1935: 228)
Il canonico Bolognini aspettava tempi migliori per dire quello che pensava del suo Capo. Con una frase ambigua «Il silenzio non nuoce, nuoce il parlarne», stende «per ora», un velo pietoso sull’antesignano della rivoluzione fascista. Rischiava il Tribunale speciale[2]. Addusse la scusa che «Le passioni di parte non sono del tutto svanite». Una velata, mica tanto, accusa politica. Ciononostante, Bolognini è classificato fascista da storici poco attenti e Lancellotti addirittura antifascista.
Purtroppo, se non si contestualizza, si rischia di distorcere l’identità dello scrittore. Oggi è possibile esprimersi grazie alle libertà di parola e di stampa nonché di pensiero e di coscienza conquistate a duro prezzo[3].
Bolognini, nei suoi scritti punzecchia Lancellotti nel fargli notare che il Governo fascista ha risposto picche alla sua richiesta di sovvenzioni per i restauri della Cattedrale (Bolognini 1928: 87). Gli muove anche un appunto sull’elogio rivoltogli per il pergamo che lui (Bolognini) aveva fatto costruire a proprie spese nella Cattedrale. Concludeva che si esimeva «dal tessere le lodi per non offenderne la modestia». Ma nell’auspicare nuove iscrizioni lapidee per ricordare i vescovi restauratori della Cattedrale annovera De Simone, Silvestris, Génnari e Lamberti e non Lancellotti che non avrà certo preso bene la cosa.
Una attenta lettura del Bolognini-pensiero su aspetti sociali, desta non poca sorpresa. Relega in nota 2 di pagina 5 il ringraziamento per il contributo di £ 4.000 dell’Amministrazione podestarile per la sua Storia di Conversano. Elogia la cessazione della manomorta (divieto al vassallo e ai contadini di trasmissibilità dei beni che aveva portato ad accentramento di terreni e case nelle mani dei conventi) e sostiene che l’incameramento e la vendita frazionata di beni ecclesiastici ha avuto l’effetto di una coltura intensiva che ha accresciuto il benessere dei cittadini. Ignora il modernismo e le lotte tra socialisti e fascisti a Conversano, tranne l’accenno a «le passioni di parte non sono del tutto svanite». Segue un attacco al capitalismo segnato da “innato egoismo” con casi diffusi di Società economiche sciolte dopo avere frodato o essere state frodate. Alterna critiche e lodi larvate al fascismo con qualche riconoscimento alle realizzazioni podestarili e speranza che si realizzino i propositi del regime (nel 1935!) secondo la linea degli intellettuali che si defilavano dal fascismo. Egli si può ascrivere ai popolari vicini a don Sturzo. Anzi ai modernisti. Da frettolosi storici di Conversano, antifascisti ad ogni costo, è annoverato tra i filofascisti più accaniti. Nella sua storia auspica che si realizzino le idealità annunciate dal fascismo. Poca cosa rispetto al Roppo. E non si concilia con le parole dedicate a Lancellotti.
Tra Bolognini e Marangelli si notano affinità di vedute. L’uno ne loda la competenza paleografica (Bolognini 1928: 31), l’altro apprezza lo storico (Marangelli 1931: 15).
[1] Can. Giuseppe Bolognini (Conversano 1860-1942), sacerdote, storico, docente di storia e filosofia nel Liceo “D. Morea” di Conversano.
[2] Il Tribunale speciale fascista, istituito il 26.11.1926, puniva con sanzioni severissime ogni attività antifascista bollata come “sovversiva”. Dalla sua istituzione al suo scioglimento, con la caduta del regime il 25 .07.1943, processò 5.619 imputati di cui 4.596 condannati. In totale inflisse 27.735 anni di carcere, 42 condanne a morte di cui 31 eseguite, 3 ergastoli. Dei processati 4.497 erano uomini, 122 donne, 697 minorenni. Antonio Gramsci (20 anni e 4 mesi) fu ristretto nel carcere di Turi, a pochi chilometri da Conversano.
[3] La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è un documento delle Nazioni Unite firmato a Parigi il 10 dicembre 1948. L’Articolo 18 sulla libertà di pensiero recita:
«Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».
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