Popolari e fascisti contro Di Vagno
Nelle amministrative del 1920, a Conversano, il quartier generale del Partito Popolare, con segretario Pietro Coletta, nonostante la dichiarata aconfessionalità, era nel Palazzo del Vescovo e contava 150 aderenti. Il Partito popolare, fondato da don Luigi Sturzo nel 1919 fiancheggiava l’allora Movimento fascista e avversava il Partito socialista di cui, però, copiava il programma.
La denuncia del Capitolo per i fatti del 25 febbraio 1921
Il 28 febbraio al commissariato venne inviata la denuncia del Capitolo per violazione alla libertà di culto e gravi minacce. Voleva essere la ciliegina sulla torta delle già gravi accuse mosse ai socialisti:
Nel mattino del 25 c. mese in questa Città di Conversano, si deplorano, fra gli altri fatti avvenuti in seguito allo sciopero dei socialisti, violenze nella maggior parte delle chiese. Suonavano le campane per le messe e gruppi di contadini socialisti, armati di bastoni nodosi e scure, entravano nelle chiese ed impedivano ai sacerdoti la celebrazione, ai fedeli l’assistenza ed obbligavano a chiudere le 4 chiese. Queste violenze si verificavano nella chiesa di S. Chiara contro il rettore can. D. Angelo Coletta; in S. Benedetto contro il sac. prof. Capone[1]; in S. Leonardo contro il rettore sac. Giuseppe Notarangelo; a S. Giuseppe contro il can. D. Giacomo Fanelli al quale si voleva impedire la continuazione della celebrazione della messa. Anche il prof. can. Luigi Gallo non poté celebrare la messa ad una chiesa fuori le mura, detta dell’Isola, dove, nei venerdì di Quaresima, si celebra funzione religiosa in onore di un antico e storico Crocefisso con l’intervento di molti fedeli. Ed a tutti fu proibito con minacce l’accesso in quella località . Fra i tanti turbolenti additiamo: Pace Domenico di Natale, Buonasora Giovanni di Andrea, Conte Cosma. Altri nomi potrebbero indicarli: il postino Francesco Cornacchioli fu Domenico, a cui venne impedito di aprire la chiesa di S. Francesco, attualmente unica parrocchia della Città; Michele Cacciapaglia di Giovanni, sagrestano del Carmine; Antonio Di Vagno fu Pasquale, sagrestano di S. Chiara; Longobardi Michele di Eustachio, sagrestano di S. Giuseppe. In conseguenza di queste violazioni alla libertà del culto e di gravi minacce, il capitolo cattedrale non potette compiere l’ufficiatura di rito. Noi qui sottoscritti contro così eccessive violenze, eleviamo formale protesta ed invochiamo provvedimenti energici. (Corvaglia ed altri 2011: 46)
Il destinatario era Di Vagno, al quale tali episodi venivano addebitati, nonostante la sua assenza da Conversano. E perciò gli fu impedito con minacce e aggressioni di metter piede in città. L’accusa di violazione alla libertà di culto era ridicola ed esagerata e non trovò accoglienza neppure da una bendisposta Corte.
Alle elezioni politiche del 1921 dopo quelle del 1919, il Psi raccolse il 24%, i comunisti il 4%, il Ppi il 20%; altri voti andarono al Blocco in cui erano 35 deputati fascisti. Ma a Conversano i risultati furono davvero singolari: si spartirono i voti due soli partiti: 474 i Popolari e 1054 il Blocco Nazionale, una lista aperta a tutte le forze ostili alla sinistra. Agli altri rimasero le briciole: una cinquantina di voti, andò a Socialisti (42), Repubblicani (7), Liberali indipendenti (6), Comunisti (0), Democratici riformisti e Combattenti (3).
Di Vagno denunciò la violenza di mazzieri e la connivenza delle forze dell’ordine: contadini che rifiutavano la scheda del Blocco furono picchiati; abolite le cabine «votarono i morti, gli assenti, gli emigrati». Era consentito votare solo ai partiti contrari a Di Vagno, ossia Ppi e Blocco.
Gli addossavano la colpa di aver istituito la sezione del partito socialista a Conversano, inaugurata domenica 29.02.1920, allo scopo di istigare i contadini contro i proprietari per ambizione personale. Lo si accusava di essere denegatore della Patria e ateo materialista che si firmava, nei suoi articoli su Puglia Rossa, con lo pseudonimo Basarow, il filosofo russo assertore dell’empiriomonismo (Lenin bollò i sostenitori come traditori del materialismo).
Episodi che suffragano l’encomio solenne del Roppo, riscontrabili anche nelle pubblicazioni della Fondazione Di Vagno, sono:
– Di Vagno, in un articolo su Puglia Rossa (8.03.1920), nota che «A Palazzo Vescovile i pipì constatano l’inanità dei loro sforzi e la travolgente marea rossa» (Lorusso G. 2004: 194);
– Dibattiti e conferenze contro Di Vagno si tenevano nell’Episcopio organizzate dal Ppi di cui Pietro Coletta fu il 1° segretario e Francesco Lopriore il presidente che partecipò alla riunione del comitato per il Patto di pacificazione nel 1921 assieme a don Donato Forlani. Una conferenza di Roppo, dal titolo “Mali e rimedi dell’ora presente” del 1920, fu oggetto anche di un comizio a Conversano (Roppo 1931: 261). Un altro conferenziere, nel 1920, fu l’on. Ursi, popolare, a cui il Capitolo inviò copia della circostanziata denuncia di 20 sacerdoti per le gravi minacce e violazioni dei socialisti alla libertà di culto del 25 febbraio 1921, affinché si prodigasse per una adeguata punizione (AA.VV. 2011: 46);
Lo scampanio di disturbo reiterato, messo in opera dalla chiesa di S. Francesco a pochi metri dal palco, in occasione dei comizi di Di Vagno (Mastroleo 2002: 17). La collaudata pratica dello scampanio si ripeté anche nel dopoguerra quando parlava il comunista O. Marangelli;
L’esiguo numero di voti riportato dal Di Vagno nelle elezioni del 15 maggio (soli 22), non poteva essere frutto delle sole minacce delle squadracce, armate di tutto punto e con l’accondiscendenza delle forze dell’ordine. Trovavano l’appoggio della Curia che mobilitò le associazioni cattoliche organizzate da mons. Luigi Gallo;
La menzione dell’articolo sul Resto del Carlino del 12 giugno 1930 (Lorusso 2004: 19): “La morte del vescovo di Conversano mons. Domenico Lancellotti (avversario di Giuseppe Di Vagno)”[2];
La difesa d’ufficio, persino dopo la caduta del fascismo, nel 1944, di esponenti della Curia, con alla testa don Gallo, che chiedono l’assoluzione degli imputati dell’omicidio di Di Vagno (AA.VV. 2011: 78).
I fascisti avevano dalla loro la magistratura, le forze dell’ordine e il potere spirituale. Il destino di Di Vagno era segnato.
[1] Don Capone era docente di francese al Liceo “Morea”. Elegante pur nell’abito talare: dalla tonaca spuntavano polsini con gemelli d’oro. Divenne grande amico del suo ex allievo Oronzo Marangelli del quale celebrò le nozze a Foggia, nel 1930. Durante la cerimonia aveva il petto squassato dalla tosse: era affetto dal mal del secolo. Morì l’anno successivo.
[2] L’Archiginnasio di Bologna ha risposto che in quella data non vi è l’articolo del caso. Forse il giornale o la data è altra.
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