aggiornato il 18/06/2024 alle 17:38 da

“Amavo un mostro, donne state attente”

“Lui era la mia droga! Non riuscivo a distaccarmi nonostante il male ricevuto da me ed i miei figli”. Maria (nome di fantasia) ha ancora negli occhi quel pudore misto a paura che, per quattro lunghi anni di convivenza, non le aveva permesso di trovare il coraggio di denunciare i maltrattamenti subiti dall’uomo che amava. Il classico adone e gentiluomo, pieno d’attenzioni e premure, quello che apre la portella dell’auto, che fa sentire la propria donna unica e speciale, anche fra le lenzuola. Un “marcantonio” da far quasi invidia alle amiche, che basta vederlo per sentirsi protetta ed al sicuro. Tanto da avviare una convivenza, insieme ai due figli allora minorenni, nell’illusione di un “per sempre”. Finché l’apparente “uomo dei sogni” si rivela nella sua essenza, quella di un “mostro”. Un uomo violento, che rientra a casa ubriaco e fatto di cocaina, che per un nonnulla impianta una litigata dai toni forti, che abusa di quell’amore addossando responsabilità e colpe inesistenti. Il narcisista da manuale in grado di plagiare, manipolare tanto da creare una dipendenza affettiva che annulla ogni raziocinio e quella banale consapevolezza che “chi maltratta non ama”. A raccontare la sua storia è una 45enne monopolitana, due figli ed un divorzio alle spalle, seguita da un centro antiviolenza di Polignano a Mare che solo lo scorso maggio è riuscita a denunciare il suo “aguzzino”. Uno chef di 47 anni, attinto da un provvedimento cautelare di divieto d’avvicinamento con controllo tramite braccialetto elettronico emesso dalla Procura all’esito delle indagini svolte dai Carabinieri della locale Compagnia: “Il motivo per cui racconto la mia storia è metter in guardia altre donne vittime di violenza e dir loro di non aver paura a denunciare perché grazie al Codice Rosso siamo più protette”. È stata operata per ben due volte al cuore ed ha curato un papilloma virus trasmessole perché il “suo uomo” aveva sempre avuto rapporti non protetti con altre: “Il paradosso è che noi vittime restiamo fedeli, nonostante il male ricevuto”. La sua è una storia di maltrattamenti cominciati poco dopo la fase iniziale della relazione. La convivenza, le richieste di soldi -lui che vantava un ottimo stipendio- sempre più pressanti e che, se non assecondate, davano il via a litigi, insulti e minacce. Violenze messe a tacere dalle scuse, da coccole, da una notte a letto: “Alla fine facevo finta di niente, avevo paura. Mi reputo una scema per non aver reagito prima ma ero quasi annullata. Io non bevo ed invece lui tornava ubriaco e in casa uscivano bottiglie in ogni dove. Non so neanche cos’è la droga e io gli davo i soldi per comprarsela. Mi riempiva di bugie e gli credevo. Mi sparivano i soldi da casa e dalla cassaforte e sopportavo. Non rientrava a casa la notte e io non dicevo nulla. Pur di non sentirlo, me ne andavo a letto e così non fomentavo la sua rabbia. Che in fondo la colpa era la mia. Non reagivo quasi per non avere problemi ma non riuscivo a distaccarmi”. Uno dei campanellini d’allarme sarebbe stata una chiamata dei Servizi Sociali, grazie alla quale scoprì che il compagno aveva un altro figlio che non aveva voluto riconoscere. Il primo figlio, quello dichiarato, invece, frequentava la loro casa. Non sapeva però che l’ex compagna era stata picchiata e trovata in strada quando il figlioletto aveva 6 mesi e che lo chef avesse già una denuncia per maltrattamenti e lesioni alle spalle. Il racconto fornitole da lui che la storia era finita per contrasti legati anche al bambino: “Una sera, anche per i miei figli, ho deciso di cacciarlo di casa. In una busta gli misi lo spazzolino, il caricatore del telefonino…”. La relazione in realtà non si è interrotta lì. È proseguita per altri mesi, in cui si sono visti, avendo anche rapporti intimi: “Dopo un lungo percorso ora so che lui è un narcisista patologico, abile a farmi sentire in colpa. Mi chiedeva scusa, mi diceva «Ti amo». E fino a poco tempo fa mi ha scritto che stava male, che io ero responsabile del suo malessere perché se non fosse stata per colpa mia, saremmo stati a casa, stretti ed abbracciati…”. Lo chef ha da almeno 7 mesi un’altra storia. Ha intrapreso un’altra convivenza: “Dico solo alle donne come me che ce la possono fare. Se questo mio incubo potrà aiutare anche solo un’altra donna, la mia sofferenza avrà senso”. Maria è consapevole d’avere una strada in salita davanti a sé. Per ritrovare se stessa e l’identità perduta. Per tornare ad avere fiducia negli uomini. Ma ha trovato la forza, quella essenziale per prendersi cura dei due figli di 14 e 18 anni, per dedicarsi agli affetti più stretti. Per tornare a sorridere. Anche con quel cuore, distrutto metaforicamente e ammaccato dal dolore infertole. Agevolata dalla consapevolezza che il “mostro travestito da uomo perfetto” dovrà starle lontana, pena la reclusione in carcere.

© Riproduzione riservata 18 Giugno 2024

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