NOCI – Spetta all’abate emerito di Noci Ludovico Intini fare la cronaca dei primi ottant’anni di vita del monastero della Madonna della Scala alla fine della messa dei festeggiamenti del 12 luglio.
Così ha detto l’abate Intini. – La giovinezza della comunità e del monastero della Madonna della Scala è coincisa con la mia giovinezza.
L’arrivo dei monaci
– Il giorno 11 di luglio 1930 i monaci di Parma arrivarono qui a Noci. Nella cronaca del monastero di Parma (che racconta il giorno in cui cinque monaci di quella comunità partirono per trascorrere qualche giorno in famiglia e per poi proseguire verso Noci) c’è una punta di amarezza come se il cronista di domandasse: ma che cosa vanno a fare in quella terra? La venuta dei monaci a Noci ha segnato un cambiamento nella storia del nostro paese, ha segnato un cambiamento nella zona della Madonna della Scala ma ha segnato un cambiamento nella mia vita.
La vocazione di farsi monaco
– Io avevo 11 anni, avevo terminato la quinta elementare e la mia decisione era di andare in seminario, e non so perché all’improvviso mi è venuto di seguire questi monaci. Voi non potete
immaginare l’impressione che quei cinque monaci hanno provocato nella popolazione di Noci, il modo in cui celebravano la messa, il modo con cui si comportavano nel rapporto con la messa. In Noci è avvenuto un cambiamento. E il cambiamento è avvenuto in me per cui ho deciso di seguire questi monaci. E mi domando perché. Dato che non sapevo nulla di San Benedetto né sapevo dei monaci benedettini. Eppure mi è venuto questo desiderio che ho espresso ad un seminarista il quale anche lui aveva chiesto di diventare monaco, e lui mi ha portato nella canonica dove abitavano i monaci: suonammo alla porta e venne il padre, il seminarista gli disse: questo ragazzo vuole diventare monaco, e il padre mi disse: vai a parlare con tuo padre, che c’è ancora l’abate Caronti, che parte domani. Io corsi in municipio: mio padre era una guardia municipale, lo chiamai e lo trascinai nella canonica, parlammo con l’abate Caronti e fui accettato. È cominciato così il mio rapporto con i monaci.
La prima pietra del monastero
E ricordo principalmente la benedizione della prima pietra, perché non si ha idea di quello che fosse questa zona all’arrivo dei monaci, in un angolo c’era villa Lenti e tutta questa zona era brulla e sassosa e in piena estate, il 18 di agosto; e qui al lato dove oggi c’è il monastero c’era un gruppo di persone, riunite insieme ai monaci, c’era l’abate Caronti in abiti pontificali, c’erano i muratori per gestire la posa della prima pietra, e c’ero anch’io che ero un chierichetto della chiesa Madre e che sono diventato il chierichetto di quella comunità di monaci: tenni il pastorale, e chissà se mi sarebbe passato nella mente che quel pastorale l’avrei tenuto in mano qui oggi nella stessa abbazia dove ho assistito alla posa della prima pietra. Ma non potete immaginare la sterilità, l’aridità del territorio, che ha creato una certa resistenza nella comunità di Parma, cosa che ho vissuto sulla mia pelle. Di Noci di quelli di allora non è rimasto nessuno ed ho vissuto da solo per ottant’anni, unico monaco benedettino di Noci a Parma, poi la grazia ha voluto che adesso, nell’ottantesimo anno, da Noci sia venuto un altro monaco, don Vito Goffredo. Così a me non rimane altro che cedere il testimone. La mia vocazione nacque per l’atteggiamento che avevano i monaci: vedete quale importanza ha la testimonianza della vita; questo vale per i monaci ma vale per tutti i cristiani. Se tutti fossimo veramente e concretamente cristiani il mondo andrebbe diversamente.
La santità di quattro persone
– Senza togliere nulla a quanti hanno lavorato sia in campo spirituale che materiale sono convinto che questa comunità col bene che ha fatto si basa sulla santità di quattro persone: l’abate Caronti; donna Laura, che con la sua sofferenza e le sue tribolazione ha vissuto una forte santità; l’abate Carlo De Vincentiis, che dopo l’abate Caronti divento abate generale e prese la guida della comunità
di Parma dal ’37 al ’46, anno in cui ci fu la separazione di questa comunità da Parma; e poi l’abate Ceci.
La diffidenza dei monaci parmensi
– Padre De Vincentiis ha vissuto i travagli di questa comunità della Madonna della Scala, voi non lo sapete ma parecchie volte stavano li li per decidere il richiamo dei monaci; a Parma c’era una corrente che diffidava, che risentiva anche un po’ dello spirito antimeridionalista ed io che ero ragazzo ne provavo dispiacere, ma capite bene: crescendo le cose poi apparivano in una dimensione diversa. Ora questa comunità ha raggiunto gli ottant’anni: la robustezza.
Grazie al suo racconto da buon monaco cronista, l’abate Ludovico ci ha fatto capire quanto sia viva una comunità di monaci e quanta fatica costi compiere le opere di bene. Il 12 luglio in occasione
dell’ottantesimo anniversario della fondazione del monastero nocese erano presenti oltre all’abate emerito Ludovico Intini, l’abate di Noci Donato Ogliari e i 25 monaci della comunità, il vescovo della diocesi di Conversano-Monopoli Domenico Padovano, che ha celebrato la messa, l’arcivescovo di Foggia e Bovino Francesco Tamborrino, l’abate di Parma Giacomo Basso,; qualche sacerdote di Noci e qualche sacerdote della diocesi. Acconto a loro le autorità civili e militari di Noci. La ricorrenza dell’ottantennale è stata significativa, memorabile e sobria come nello stile dei monaci.
Tanti i fedeli, di ogni estrazione sociale, che hanno dimostrato la loro vicinanza alla comunità monastica partecipando alla messa e gustando il rinfresco. In tanti si sono recati in abbazia portando con sé la propria famiglia. Buon anniversario ai monaci, lunga vita all’abbazia di Noci.
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