NOCI – Cinquant’anni fa si infrangeva un sogno e noi, ragazzini nel 1963, capimmo subito che il mondo avrebbe preso un’altra piega. Imparammo a dire Dallas, a pronunciare il nome ed il doppio cognome del presidente americano, scrivemmo JFK col vezzo dei provinciali che si aprono al nuovo, fissammo le immagini b/n commentate dalla gracchiante voce di Ruggero Orlando – ai nostri occhi, gli Stati Untiti erano il dinoccolato corrispondente più immaginifico della Rai, lo stesso delle imprese lunari – componemmo il tema scolastico improvvidamente additando la colpa del misfatto al successore Lindon Johnson, seguimmo i mesti funerali con la bara trasportata su un affusto di cannone, avvolta nella bandiera a stelle e strisce. Fu così che finimmo per amare l’America, considerarla amica, un grande Paese, una grande democrazia. E quindi ci innamorammo di Jaqueline, della sua fiera figura. Vedova, madre, first lady (ma fu disamore quando sposo’ in seconde nozze il miliardario Onassis).
Perché la memoria, inesorabilmente, ci porta nei vicoli ciechi dei perché della storia? Mezzo secolo dopo nessuno di noi è più quel ragazzo, quella ragazza che si aprivano alla vita conoscendo le prime delusioni dell’esistenza che non sempre consegna a noi risposte, certezze. Oggi il tailleur rosa macchiato di sangue della signora Kennedy
assurge a simbolo di un’epoca, simulacro di una visione sul mondo che aborriva il male, disprezzava le ingiustizie, difendeva i deboli e le minoranze.
Subito dopo vennero i Beatles ed i Rolling Stones, e Gianni Morandi cantava per noi la pace simulando un mitra col suo “ra-ta- ta-ta”. E’ vero, c’era la Cortina di ferro, ma tifavamo affinché un dì si sgretolasse. E’ vero, c’era la Cina chiusa al mondo ed alla storia; ma anche Mao avrebbe fatto il suo tempo. E poi c’era un’economia che viaggiava a 100 all’ora e ci faceva tenerezza il finale di “Colazione da Tiffany”. Nelle città italiane e nei paesi l’amicizia con gli Usa fu suggellata dalle intitolazioni di strade e piazze.
Tutto è accaduto in mezzo secolo. Ma noi siamo ancora qui ad interrogarci, a tormentarci di domande a cui sapranno rispondere soltanto la fiducia nel nostro prossimo e la genuina vivacità delle nuove generazioni. Ancora goodby John.
Tuo aff.mo Piero Liuzzi
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